sabato, dicembre 24, 2005

Notizie dal regime della P2 e del PCI-PDS-DS

Commento di Pietro Campoli : meglio tardi che mai, ora finalmente anche l'ex-eroe di Mani Pulite, Antonio di Pietro si accorge che la P2 in Italia non e' mai morta. D'altronde quando la realta' e' talmente evidente non la si puo' negare.

Dal link

http://www.lapadania.com/PadaniaOnLine/Articolo.aspx?pDesc=52681,1,1

Intervista ad Antonio di Pietro

«La nuova P2 ha ripreso il potere»L’ex pm: un magma trasversale controlla economia e finanza

«È un film già visto». Se lo dice Antonio Di Pietro, ex magistrato di punta della stagione di Tangentopoli, la frase fa un certo effetto. Soprattutto perché si riferisce al terremoto Bancopoli, come qualcuno l’ha già definito. «Per me è una nuova Tangentopoli».Vado a trovarlo nel suo ufficio di Milano: il palazzo di Giustizia è ben lontano da questa traversa di Buenos Aires e la gente che sta sotto la sua finestra è per lo shopping natalizio: come sono lontani i giorni dell’euforia per Tonino. Ha la scrivania piena di giornali e di articoli ritagliati.

Dodici anni fa era lei che faceva scrivere i giornali, con i suoi arresti e i suoi interrogatori.
«È vero. Ma…».
La interrompo subito perché ho una domanda che mi frulla in testa da un po’. Anche oggi assistiamo a fughe di notizie. Oggi come ieri. E, oggi come ieri, per me le fughe arrivano dal Palazzo di Giustizia. Magari mi sbaglio, ma resto dell’idea che i magistrati giochino di sponda con i giornalisti.
«I magistrati, oddio… Se generalizza io le dico di no, non è vero che passavamo le notizie ai giornalisti o che le passino ora. Poi, se c’è qualche magistrato che lo faccia, non lo escluderei: ma non è un metodo. Anzi, certe fughe di notizie ci infastidivano e sono d’ostacolo per le indagini. Per tornare a Tangentopoli, dico che alcune delle cose che escono sui giornali, noi neanche le sapevamo».
Posso conservare i miei dubbi? Qualche volta, fare uscire certe cose era importante anche per voi: mandavate messaggi.
«No. Per quel che mi riguardava, proprio per evitare fughe di notizie, finito l’interrogatorio facevo subito partire la polizia giudiziaria per ulteriori attività investigative. Lo facevo perché temevo certi articoli di giornale il giorno dopo».
E allora chi dà le notizie ai giornalisti?
«Molti avvocati, per esempio: fa parte della strategia difensiva divulgare certe informazioni. Ma chiunque può farlo».
Anche oggi come allora, i giornali sono lì con la bava alla bocca, con titoli a effetto che non trovano riscontro né nell’articolo né nelle dichiarazioni. Ogni riferimento a Calderoli e D’Alema è ovviamente voluto.
«Ma i giornali non hanno una linea comune: ognuno dice una cosa diversa. Ogni giornale, se ci fa caso, ha interesse a tirare lo stesso fatto, chi da una parte chi dall’altra, a guardare la notizia da sopra piuttosto che da sotto. Infatti, per avere un quadro il più esteso possibile leggo tutti i giornali e ritaglio articoli e notizie pubblicati solo dall’Unità o dal Giornale, da Repubblica o dal Corriere. Ribadisco: ogni giornale dice cose che evidentemente potrebbero essere utili alla linea dell’editore».
Prima lei ha detto che i giornali hanno interesse a “selezionare” le notizie. Ha usato la parolina magica: interesse. Le è sfuggita?
«No, l’ho detta di proposito. Ogni giornale risponde a una logica dell’editore: si mescola il vero con il verosimile per tirare la cosa verso di sé. Del resto lo ha scritto anche lei nel pezzo dei furbetti (Di Pietro si riferisce al mio articolo “La partita dei furbetti. Le amnesie dei giornali, il ping pong tra Tabacci e Mazzotta e il silenzio su Geronzi: tutti i trucchi del gioco”, pubblicato giovedì scorso ndr). Lo condivido per certi aspetti».
I giornali sono parte del gioco?
«Non so. Hanno un ruolo, questo sì. Hanno un loro interesse che una notizia esca con un certo taglio o con un altro».
Faccio il Di Pietro: può essere esplicito?
«Due esempi: non passano quarantott’ore dalle dimissioni che Fazio viene ricevuto dal Papa. E nessuno che si domanda se c’è un messaggio politico preciso dietro questa visita. Ci ha fatto caso? Ma gliene faccio un altro, di esempio. Adesso si sprecano pagine e pagine sull’arresto di Fiorani: perché di contro non ho letto paginate sul rinvio a giudizio contro Geronzi il quale vale cento Fiorani? È più grave un arresto precauzionale o un rinvio a giudizio. Glielo dico io: è più grave il rinvio a giudizio».
Geronzi è azionista del Corriere della Sera, Fiorani no. Ecco perché non ci sono paginate... Di più: Fiorani è colpevole di aver osato toccare il santuario di via Solferino. Chi è Fiorani, secondo lei?
«Lei vuole sapere se è colpevole? Non lo so, faccio però queste considerazioni: leggendo i giornali sembra che Fiorani, Gnutti, Consorte siano le mele marce di un sistema sano; vogliono far credere che siano soltanto dei parvenu, dei furbetti del quartierino. Questa cosa non mi convince, sa? Non sono le mele marce di un sistema sano. Sono o erano gli anelli deboli di una catena forte. Per me i Fiorani, gli Gnutti, i Consorte sono stati scaricati».
Da chi?
«Da una P2 che ha in mano il potere vero, reale, il potere economico, finanziario».
I nomi?
«Se non hai le prove, non si possono fare ma si possono immaginare. E comunque alcuni di questi nomi sono gli stessi che c’erano già prima».
Vox populi: caro Di Pietro, avete fatto tanto casino ma alla fine non è cambiato niente…Tonino non risponde, fa una smorfia.
«Stavolta è peggio: dopo Tangentopoli, quel magma piduista trasversale ha modificato il modus operandi per non farsi prendere. Lo dico alla dipietrese: fa girare ma non tocca».
Quindi non si fa prendere?
«No, non li prendi. Anche stavolta come allora le indagini si impiglieranno, perché quel magma piduista trasversale le bloccherà lasciando nella rete gli anelli deboli».
I Fiorani, i Consorte eccetera eccetera?
«Certo. Tra l’altro io credo che molti di questi fatti contestati potrebbero non trovare sbocco definitivo nelle sentenze di condanna, perché i metodi usati potrebbero non essere di per sé illeciti. Ai miei tempi era più facile perché li trovavi con la bisaccia piena di tangenti. Oggi le tangenti hanno cambiato volto, sono le consulenze, le azioni, gli arbitrati. Per questo alcuni degli addebiti contestati potrebbero essere più difficili da provare come illecito penale».
Gianpiero Fiorani è il Mario Chiesa della situazione?
«Mah… potrei dire che Mario Chiesa ci ha messo più di due giorni per parlare; questi stanno già parlando. Ma, a parte questo, no, non direi che sono equiparabili».
Fiorani come Gardini?
«Gardini trattava un prodotto vero, aveva la chimica. Fiorani e gli altri trattano carta, azioni, obbligazioni. Gardini poteva dire: la chimica sono io. Gardini disprezzava i politici, tanto che li comprava. Fiorani e gli altri godono nello stare con la politica, si inchinano alla politica per entrare nel salotto buono».
Anche Gardini voleva entrare nel salotto buono.
«E infatti quando anche lui si è avvicinato troppo al salotto buono, gli hanno scatenato addosso l’iradiddio. Oggi è accaduto lo stesso».
È un’operazione che ha una regia, dunque?
«Gliel’ho detto prima: è il magma piduista che fa fuori i Fiorani, i Consorte, i Ricucci, i Fazio».
Fazio ha commesso illeciti?
«Non lo so, potrebbe anche non averne commessi però doveva dimettersi subito per motivi morali».
Perché la magistratura non riesce a sradicare quel magma?
«Perché è un magma che si autogenera. Grazie alla politica, alla finanza, ai giornali, ai salotti buoni».
Se i politici sono il male perché lei ha lasciato la magistratura per fare politica?
«No, i politici e la politica non sono il male. Ho detto che alcuni politici sono pedine del magma piduista. E io la magistratura l’ho lasciata per meglio difendermi senza creare imbarazzi».
Come si sta nello schieramento di chi difende Consorte?
«Se fossero vere le accuse saremmo di fronte alla trasformazione dello spirito cooperativistico, perché - ripeto, se fossero vere le accuse dei pm - non ci sarebbe una ricaduta favorevole per il sistema dei soci ma sarebbe solo funzionale per la conquista del potere. Il che di per sé non è reato».
Allora cos’è?
«È moralmente inaccettabile».
E lei rimane con quest’alleanza?
«Non vede che fanno di tutto per tenermi fuori? Perché secondo voi? Io però non mollo. Rientrare in magistratura? No, ormai ho fatto una scelta e non torno indietro».
La sinistra non è stata toccata da Tangentopoli: ora si può dire?
«Ma non è vero. Ci sono persone riconducibili alla sinistra che sono state condannate. A parte questo, va detto che la sinistra aveva un metodo diverso perché beneficiava non di tangenti ma di quote di prebende. Aveva un metodo spesso penalmente irrilevante. Oggi però non è più così, se fossero vere le accuse della magistratura. Sono passati anche loro tra i top manager del capitalismo distorto, non era così che la pensava il vecchio Pci».
La magistratura si è inserita nel vuoto della politica: condivide questa analisi?
«Sì. Però la responsabilità è della politica mica dei magistrati che stanno facendo il loro dovere».
Eppure nessuno mi toglie dalla testa che anche questa seconda Tangentopoli ha una regia.«Certo, ma la regia non è dei magistrati…».

[Data pubblicazione: 24/12/2005]

1 Comments:

Blogger Pietro Campoli said...

A proposito di fughe di notizie -
Una fuga di notizia famosa, su cui pendono inquietanti sospetti e coincidenze....
da "Mani Pulite.La vera storia" Barbacetto-Gomez-Travaglio Editori Riuniti


Di Pietro spinge il carrello

Di Pietro incrocia tutti gli elementi a carico del Cavaliere e li raccoglie, preceduti da un promemoria riassuntivo, in un unico faldone. Che, a colpi di fotocopiatrice, viene moltiplicato per cinque e consegnato ai colleghi interessati: Borrelli, D'Ambrosio, Colombo, Davigo e Greco. Di Pietro li chiama a uno a uno il 13 novembre:
“Ci sono novita' su Berlusconi, ora arrivo”. E passa di ufficio in ufficio, spingendo il carrello e distribuendo le varie copie del dossier: “Siamo a una svolta, e' tutto li' dentro, studiate le carte e poi ditemi che ne pensate”.
L'indomani, 14 novembre, si tiene una prima riunione. Ordine del giorno: l'eventuale iscrizione del presidente del Consiglio sul registro degli indagati.
Ambrosio e Greco, sulle prime, temporeggiano, preoccupati dal calendario politicodenso di appuntamenti cruciali: le elezioni amministrative del 20 novembre, la finanziaria, la riforma delle pensioni, le minacce di crisi lanciate da Bossi. Borrelliascolta. Di Pietro e' molto risoluto: “Berlusconi ce l'abbiamo in pugno. Il pass e' la prova del nove che lui c'entra, che sapeva tutto, che le tangenti le autorizzava lui e

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poi, una volta scoperte, metteva il silenziatore a chi poteva parlare. Quando noi le scopriamo, Berruti va a parlarne con Silvio, mica con Paolo [...]. Voglio vederlo, all'interrogatorio, quando gli sbattiamo sotto il naso il pass. L'indagine e' praticamente chiusa: lo interroghiamo, poi chiediamo il rinvio a giudizio. Con queste prove, il processo sara' una passeggiata. Non me lo voglio perdere”.

Colombo e Davigo concordano: “Di fronte a una simile notizia di reato”, ricordano, “'iscrizione e' obbligatoria, un "atto dovuto". Certo, quella fine d'anno era zeppa di appuntamenti politici importanti. Ma a dar retta alle obiezioni di Greco e D'Ambrosio avremmo dovuto attendere settimane, forse mesi. Invece l'interrogatorio era urgente. Era giusto trattare Berlusconi come tutti gli altri indagati.
E lasciare che fossero i tempi processuali, e non quelli politici, a scandire il calendario dell'inchiesta. Era la regola che ci eravamo dati dopo i primi mesi di Mani pulite: non lasciarci condizionare, nei tempi, dalle scadenze "esterne". E la seguimmo anche quella volta”.
Cosi' si decide l'iscrizione, contestuale all'invito a comparire. “Per tre ragioni”, spiega Davigo.
“Primo: c'era la necessita' di interrogare al piu' presto Berlusconi e Berruti, separatamente ma contemporaneamente, prima che i due venissero a sapere
che avevamo trovato il pass e potessero cosi' concordare una versione di comodo
su quello che per noi era un fatto importantissimo: il loro incontro a palazzo Chigi.
Secondo: se avessimo iscritto Berlusconi senza "avvisarlo", c'era il rischio che lo venisse a sapere dai giornali. Le fughe di notizie erano all`ordine del giorno, com'e' purtroppo inevitabile quando una cosa la conoscono in tanti.
Terzo: l'indagine ormai era chiusa”. D'Ambrosio aggiunge un quarto motivo: “Se non avessimo iscritto Berlusconi, avrebbero potuto accusarci di violare i diritti di difesa. L'iscrizione e' un obbligo previsto dal codice a tutela dell'indagato, perche' a partire da quel momento decorrono i termini di scadenza delle indagini. E a Milano stavano arrivando gli ispettori ministeriali. Mettendo il naso nelle carte, avrebbero potuto chiederci: "E questo cos'e'? Perche' non avete iscritto questo signore nel registro?".
E sospettarci di voler indagare surrettiziamente sul presidente del Consiglio,
per prolungare le investigazioni oltre il termine consentito”.
Giovedi’ 18 novembre, seconda e ultima riunione sul tema Berlusconi. Tutto il pool e' d'accordo sul da farsi: iscrizione e invito a comparire subito, interrogatorio il 26, richiesta di rinvio a giudizio entro l'anno “Ne avevo gia' preparata una bozza sul mio computer”, rivela oggi Di Pietro) e processo-lampo, possibilmente nel 1995. “Sara' un Cusani-bis”, annuncia Di Pietro ai colleghi. Stavolta, alla sbarra ,
siedera' l'uomo simbolo della seconda Repubblica. E lui, ancora una volta, sul banco dell'accusa.
Domenica 20 ci sono le elezioni amministrative. Il primo giorno utile e' lunedi'
21, il piu' lontano dal ballottaggio (4 dicembre). I carabinieri, oltretutto, assicurano
a Borrelli che, inaugurata al mattino la conferenza mondiale sulla criminalita' a Napoli, quella sera il Cavaliere rientrera' a Roma per impegni di governo.
“E poi”, ricorda Davigo, “non bisogna dimenticare che la convocazione del premier doveva restare segreta, e se fosse dipeso da noi lo sarebbe rimasta. Dunque, semmai, la


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data che avrebbe potuto avere un impatto pubblico non era quella della consegna dell'invito, ma quella dell'interrogatorio: potevamo sperare di tenere segreto l'invito, ma non potevamo certo pensare che l'interrogatorio del presidente del Consiglio sarebbe passato inosservato. Lo fissammo per sabato 26, quando prevedevamo che Berlusconi fosse piu' libero da impegni istituzionali. Chi oggi ci rimprovera la coincidenza con la conferenza di Napoli, non considera che aspettare una settimana
avrebbe significato andare con l'interrogatorio proprio alla vigilia del secondo
turno amministrativo”.

Le elezioni di domenica 20 si rivelano un mezzo disastro per Forza Italia: in Difficolta’ per la riforma delle pensioni, per i distinguo del Ccd e di An sulla politica
sociale e per le bizze di Bossi, che ormai minaccia apertamente la crisi, il partito
del premier perde fino a dieci punti.
Lunedi' 21 mattina, i Carabinieri di Milano festeggiano la loro patrona, la Virgo Fidelis.
Ma a mezzogiorno due alti ufficiali, il comandante regionale, generale Niccolo' Bozzo, e il comandante provinciale, colonnello Sabino Battista, si allontanano dalla cerimonia. Li ha convocati Borrelli nel suo ufficio, per avvertirli che nel pomeriggio bisogna consegnare un invito a comparire al presidente del Consiglio.
E quell'insolito viavai di uniformi di gala nell'ufficio del procuratore insospettisce i cronisti piu' smaliziati. Verso le 13, Davigo si chiude nella sua stanza con un ingegnere informatico. Tocca a lui - e non a Di Pietro, per dare meno nell'occhio - provvedere alle operazioni di iscrizione. L'ufficio ormai e' deserto, l'assedio dei giornalisti e' tolto, e cosi' pure l'andirivieni della polizia giudiziaria. Davigo opera personalmente, sul suo computer, con una procedura “antiintruso” che richiede un'apposita modifica del programma informatico. Intanto, nel suo ufficio, Di Pietro compila il modulo dell' “invito a presentarsi nei confronti di persona sottoposta a indagini” intestato a “Berlusconi Silvio”: una pagina in tutto, alla quale viene allegato il capo d'imputazione, quasi interamente copiato da quello gia' contestato al fratello Paolo. Altre tre pagine: “Quale controllore di fatto delle societa' del gruppo Fininvest”, il Cavaliere deve rispondere di tre tangenti alla Guardia di finanza (per le verifiche nelle societa' Videotime, Mediolanum e Mondadori).
Nessun accenno all'arma segreta: il pass.


“Convocate il Cavaliere”

Di Pietro consegna i quattro fogli a Borrelli e parte per Parigi, dove e' stato appena arrestato Mach di Palmstein. Borrelli affida la busta arancione a due ufficiali dell'Arma: il comandante del reparto operativo di Milano, tenente colonnello Emanuele Garelli, e quello del nucleo operativo, maggiore Paolo La Forgia (lo stesso che due anni prima aveva recapitato il primo avviso di garanzia a Craxi).
Devono consegnarla personalmente a Berlusconi, nel tardo pomeriggio, a palazzo
Chigi. I due partono per la capitale con l'auto di servizio.
“Quel pomeriggio - spiega Borrelli - Berlusconi ci risultava gia’ in viaggio da Napoli a Roma. Infatti mandai gli ufficiali a Roma, e non, come si e' sempre voluto far credere, a Napoli”.


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Non sa che il Cavaliere ha deciso di restare a Napoli per presiedere la conferenza
anche il martedi’ mattina. Quel che succede dopo verra' ricostruito, con qualche
inevitabile approssimazione sugli orari, dagli ispettori ministeriali, dal Csm e da
quattro inchieste penali aperte dalle Procure di Milano e di Brescia.
Alle 19,40, quando raggiungono palazzo Chigi, Garelli e La Forgia trovano soltanto il consigliere diplomatico Giampiero Massolo. Questi chiama il sottosegretario alla Presidenza, Gianni Letta, che avverte Berlusconi di quella visita inaspettata.
Poco dopo le 20 Garelli chiama Borrelli (che sta rientrando a casa in auto dalla Procura) per comunicargli che lo scenario e' cambiato e chiedere nuove istruzioni.
Il procuratore, per cautelarsi da eventuali fughe di notizie, autorizza l'ufficiale a contattare Berlusconi a Napoli e a leggergli il contenuto dell'atto. Cosa che Garelli fa, con la mediazione di Massolo. Intanto Letta telefona a Cesare Previti, che come ministro della Difesa (responsabile anche sui carabinieri) potra' informarsi presso i vertici dell'Arma. Previti si trova in Spagna e, al telefono, chiede subito lumi al comandante generale Luigi Federici. Ma neppure lui sa nulla: lo sapra' qualche minuto piu’ tardi, dopo un giro di telefonate ai comandanti di Milano. Poco prima delle 21, Berlusconi chiama Garelli sul cellulare e gli chiede chiarimenti. L'ufficiale gli parla di un invito a comparire. Berlusconi, impaziente, gli dice di aprire la busta e di spiegarsi meglio. Garelli apre, da’ un'occhiata al documento, e dice:
“Si parla di tangenti alla Guardia di finanza . . .”.
Ma il premier ha fretta: lo attende il palco reale del teatro San Carlo, per il concerto di gala di Luciano Pavarotti, fissato per le 21. Cosi’ per i dettagli, da’ appuntamento all'ufficiale a due ore dopo.
Sulla linea Milano-Roma s'incrociano altre telefonate eccellenti. Intorno alle 21, Garelli avverte Borrelli di aver informato Berlusconi. Intanto Borrelli riceve la telefonata del giornalista del Corriere Goffredo Buccini (rientrato precipitosamente da Roma a Milano nel tardo pomeriggio), a caccia di conferme alle voci che vogliono Berlusconi indagato.
“Non ho nulla da dire - risponde - prendo atto di quanto lei mi sta riferendo”.
E mette giu’. Poi avverte Scalfaro, spiegandogli che “l'invito a comparire e’ in corso di sommaria notificazione all'interessato da parte dei carabinieri”.
“Avvertii il capo dello Stato – spieghera’ il procuratore - per considerazioni di geometria istituzionale e perche’ ritenni sconveniente che apprendesse da altre fonti un awenimento giudiziario di quel rilievo. D'altronde non violavo alcun segreto investigativo: l'invito a comparire, come l'awiso di garanzia, non e’ segreto, perche’‚ destinato all'indagato. Il nuovo codice prevede il segreto solo per gli atti che non siano conoscibili dagli indagati. E io avvertii il presidente solo dopo che i carabinieri mi confermarono di avere notificato sommariamente l'invito a Berlusconi”.
Il presidente e’ turbato e irritato:
“Ma come - domanda - proprio durante la conferenza sulla criminalita’?”.
E Borrelli: “Un fatto nuovo ci ha imposto di procedere, l'iscrizione e la convocazione per l'interrogatorio non erano piu’ rinviabili”.
Intanto Buccini ci prova anche con Davigo. Con lo stesso risultato.
“Ma le sembrano cose di cui parlare con un magistrato? - taglia corto il pm. - Non dico nulla su argomenti del genere”Clic.



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Da dov e’ uscita la notizia?

Tra le 22 e le 22,30 Buccini e il suo collega Gianluca Di Feo (che fin dal mattino, come alcuni altri giornalisti, ha iniziato a subodorare quel che sta accadendo, e insieme a Paolo Foschini del quotidiano Avvenire ha ricevuto una mezza “dritta” in tal senso) ottengono finalmente una misteriosa quanto “autorevole conferma”,
che induce il direttore Paolo Mieli a rompere gli indugi e a “smontare” la prima pagina per inserirvi, a sei colonne “di spalla”, la notizia-bomba.
Dopo le 23, finito il concerto, Berlusconi richiama Garelli, che puo’ finalmente leggergli il testo dell'invito a comparire. Ma fa in tempo a citare soltanto i primi due capi d'imputazione, relativi alle mazzette di Mediolanum e Mondadori. Poi, mentre sta per leggere il terzo (Videotime), Berlusconi lo interrompe:
“Va bene, ho capito, basta cosi’”. E mette giu’ , dopo avergli dato appuntamento per l'indomani alle 14, a palazzo Chigi, per la notifica.
Guardacaso, il giorno dopo, il Corriere riportera’ soltanto i primi due capi di imputazione. Titolo: “Milano, indagato Berlusconi”.
Occhiello: “L'iscrizione sul registro decisa dalla Procura per l'ipotesi di due pagamenti alle Fiamme gialle”.
Nell'articolo si parla dei 130 milioni per la Mondadori e dei cento per la Mediolanum. Della terza accusa, 100 per Videotime, nessuna traccia. E questa straordinaria coincidenza fa sospettare agli uomini del pool - Borrelli e Davigo in testa - che la decisiva conferma al Corriere possa essere partita proprio dall'entourage del Cavaliere.
…………………


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7:35 AM  

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